Quello che dovremmo conoscere su aggregazioni e reti d’imprese
 
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15.04.2013
Articolo a cura di Stefano Benetti
Comitato Internazionalizzazione AssoretiPMI
 
 
 
 

Il tema delle aggregazioni è da tempo un argomento di interesse.
Cosa significhi formare una Rete di Imprese, che vantaggi e doveri implica, come possa essere uno schema applicabile alla realtà odierna delle imprese della lavorazione dei metalli, sono alcune delle domande che anche noi ci siamo posti. Come expometals.net lo abbiamo fatto già sei mesi fa, quando abbiamo chiesto di tenere una rubrica, a puntate, a Stefano Benetti, membro del Comitato per l’Internazionalizzazione Reti dell’associazione ASSORETIPMI.

ASSORETIPMI ha da poco compiuto un anno di vita ma è già un riferimento per chi si interessa di aggregazioni e reti d’imprese. Al suo attivo ha un gruppo, nel social network professionale LinkedIn, di circa 7700 membri, ed ha ormai raggiunto i 400 associati. Molte sono state le iniziative e gli eventi organizzati, l’ultimo in ordine cronologico la partecipazione allo SMAU di Padova il 17-18 Aprile. 
Entro il 2013 è allo studio, tra l’altro, uno specifico workshop dedicato alla Metalmeccanica, sul quale vi terremo aggiornati. Abbiamo quindi pensato di rilanciare il tema delle aggregazioni presentando, in un’unica ed aggiornata pubblicazione, la rubrica “Dal net alla Rete”, dando così l’opportunità a nuovi e vecchi lettori di informarsi ed entrare a contatto con questa realtà/opportunità/speranza.

Reti di impresa
di Stefano Benetti
 

La mia generazione ha avuto la fortuna di crescere in uno dei più lunghi periodi di pace e benessere che la nostra storia (moderna) abbia conosciuto. Questo periodo ha visto nascere imprenditori e imprese ad un ritmo impressionante, gente armata di voglia di fare, di un po’ di “incoscienza”, e con tutto da guadagnare.

Questa crescita si è nutrita di un’economia da ricostruire e di un benessere da inventare, e sfruttando anche nuove tecnologie si è mossa con la rapidità di un fulmine. Una crescita che sembrava inarrestabile e senza prezzo, ma purtroppo questa convinzione si è dimostrata oggi alquanto illusoria.

Già dagli anni Settanta (cominciavo giusto a lavorare) abbiamo visto i primi segnali di affanno e di contraddizioni nel sistema, dalla crisi petrolifera ai conflitti sociali. Poi sono arrivate le “nuove” illusioni degli anni Ottanta, guidate dal duo Reagan-Thatcher, durante i quali “grazie” alla deindustrializzazione e alla deregolamentazione finanziaria, accompagnate dalla contemporanea esplosione dei debiti pubblici, la nostra economia e finanza si avvitarono in una pericolosa spirale. Gli anni Novanta hanno solo potuto confermare se non aggravare il fenomeno, ed il decennio successivo combinandosi con la globalizzazione lo ha poi fatto esplodere.

Tutto ciò porta ai nostri giorni e a quanto abbiamo duramente imparato. Non ci troviamo più di fronte a una delle solite crisi ciclico-congiunturali ma ad un qualcosa che, partito da lontano, ci sta portando ad un profondo e radicale cambiamento, tanto che si dice: niente sarà più come prima.

Eccoci quindi qui, orfani di vecchie (ingannevoli?) sicurezze, a domandarci con che cosa sostituire un sistema di vivere e lavorare che non funziona più, che non possiamo più permetterci, ed un approccio individualista e “dissociato” che sembra aver fatto il suo tempo.

Una realtà che apparentemente ci nega sogni e futuro.

La collaborazione tra soggetti economici non è scoperta recente. L’Italia già decenni fa vedeva la costituzione di aggregazioni consortili. I consorzi infatti sono forse la prima forma strutturata di questo associazionismo.

Dagli anni Sessanta/Settanta in poi i consorzi si sono via via allargati a vari settori produttivi, arricchendosi di tematiche sempre più complesse: quali una comune progettualità di sviluppo dei mercati esteri ed un contesto tecnico-produttivo che, pur non integrato, potesse comunque interagire.

Negli anni più recenti l’aggregazione si è arricchita di nuove forme, le quali puntavano a dare risposte mirate ad esigenze diverse e specifiche. Un esempio di ciò sono le ATI (Associazioni Temporanee di Imprese), le quali riunivano aziende che, per un periodo di tempo limitato e con un obiettivo specifico (un Bando od una Gara d’Appalto), si associavano in varie modalità.

Le aggregazioni di cui però voglio parlarvi sono una “scoperta” più recente, il 1º decreto legge che le riguarda è datato infatti 10/02/2009: sono le Reti di Imprese.

Prima di entrare nello specifico della loro natura e progettualità, vorrei fare una breve premessa che ne riguarda la genesi.

Credo che il presupposto che ha portato a concepire le Reti passi per diverse considerazioni, ne cito alcune tra le più rilevanti e che riguardano le MPMI (Micro-Piccole-Medie Imprese), poiché soprattutto a loro è rivolta questa proposta associativa.

1) In Italia le MPMI sono particolarmente diffuse – circa il 99% del totale – e molte si replicano “inutilmente”.

2) La dimensione, e spesso la loro sottocapitalizzazione, ostacolano sempre di più una significativa e attiva presenza sui mercati, oggi sempre più lontani.

3) La loro buona “artigianalità” tecnico-produttiva non basta più (da sola) a garantirne la sopravvivenza.

4) Globalizzazione e concentrazione produttiva richiedono ruoli nuovi nella Catena Globale del Valore.

5) La loro realtà, fortemente familiare e spesso chiusa, può ostacolare il fluire di una cultura imprenditoriale oggi sempre più complessa e dinamica.

6) Dimensione ed espansione (globalizzata) dei mercati richiedono sempre maggiori economie di scala e massa critica.

… e diciamolo, le recenti politiche di “rigore” certo non rendono più facile la vita delle piccole isolate imprese italiane.

Il messaggio sembrerebbe quindi essere che “Piccolo non è più Bello”. È proprio così?

Come conservare le caratteristiche positive delle nostre MPMI (rinunciando magari ad alcune, quelle meno positive)?

Come sganciarsi dall’impasse dimensionale?

Come affrontare un ambiente sempre più competitivo ed “ostile”?

Cosa fare se ciò che ha sempre funzionato non basta più?

Il Contratto di Rete cerca appunto di dare una sua risposta a questi e ad altri dilemmi, proponendo una soluzione (flessibile) che coniughi autonomia e cooperazione, stimolando l’innovazione ed una maggiore efficienza e competitività.

Comincerei dandovi una sintetica definizione della Rete:

un gruppo di imprese che attraverso il Contratto di Rete si dà forme specifiche di collaborazione ed integrazione, che unisce sforzi, conoscenze e risorse, per accrescere competitività ed innovazione sul piano commerciale, dei processi e dei prodotti, e tutto ciò conservando inalterata la propria autonomia.

I principali benefici che le reti possono offrire sono: aumento dimensionale (senza integrazione societaria), interscambio di competenze – conoscenza – cultura aziendale – innovazione, possibilità di adottare economie di scala e di scopo, accesso a finanziamenti ed agevolazioni, miglioramento linee di credito/rating, maggiore penetrazione (attiva) nei mercati, ampliamento della gamma d’offerta, crescita competitiva e qualitativa, contesto e sostegno solidale.

I principali presupposti favorevoli al suo successo sono: mentalità aperta e vocazione innovativa, conoscenze distribuite e complementari, condivisione di valori-regole-progettualità, disponibilità, presenza di una leadership interna.

Quelli sfavorevoli (oltre a ciò che è l’opposto di quanto sopra indicato): scarsa conoscenza del tipo di impegno richiesto, concorrenza interna “eccessiva”, poca cultura d’impresa, eccessiva disparità dimensionale.

Le reti possono essere di diverse tipologie:

Più o meno Intense (legami), Corte o Lunghe (geograficamente, settorialmente), a Collaborazione Orizzontale (es. verso complementarietà di processo) o Verticale (verso complementarietà di prodotti), Pesanti o Leggere (dotate o meno di organo comune e fondo patrimoniale).

Pur non entrando nei dettagli, aggiungiamo anche alcune informazioni di carattere giuridico/fiscale (tenendo conto che la materia è in continua e costante evoluzione).

La rete non è una nuova Società ma attraverso il Contratto di Rete esprime una Progettualità e Strategie comuni delle imprese che lo sottoscrivono (Programma di rete).

Dopo le recenti modifiche legislative, le imprese hanno ora la possibilità di creare reti prive di soggettività giuridica, come avveniva in passato, oppure reti con soggettività giuridica.

Le reti senza soggettività giuridica possono avere o non avere un fondo patrimoniale. Queste reti sono iscritte nel Registro delle Imprese dove è iscritta ogni impresa partecipante. Le reti senza soggettività giuridica, in pratica, coordinano le attività delle imprese partecipanti, che sono gli unici soggetti esistenti sul piano del diritto (quindi i diritti e gli obblighi fanno capo alle imprese partecipanti).

Le reti con soggettività giuridica devono avere il fondo patrimoniale, una sede e un nome, e sono iscritte nel Registro delle Imprese nella cui circoscrizione si trova la sede (oltre che nei Registri delle singole imprese). Queste reti possono essere titolari di qualsiasi rapporto giuridico, e quindi anche di rapporti di lavoro subordinato. Nonostante l’Agenzia delle Entrate non si sia pronunciata ancora ufficialmente, la rete dovrà richiedere la partita IVA e sarà tenuta a tutti gli obblighi fiscali previsti per i soggetti di diritto rilevanti per l’ordinamento tributario (imprese individuali e società).

A parte queste differenze, i contratti di rete regolano la governance della rete, le modalità di adesione, di recesso, di esclusione, le regole operative e alcuni altri importanti aspetti.

Ma soprattutto, è importante capire che non esiste un solo contratto di rete, ma molti, diversi contratti, da valutare in relazione agli obiettivi che le imprese hanno e al progetto imprenditoriale che intendono portare avanti con l’aggregazione.

Vorrei completare queste informazioni dicendo che, così come nell’intenzione del legislatore, il Contratto di Rete non è stato pensato come la soluzione universale alla “crisi” che stiamo vivendo, ma come un ulteriore e flessibile strumento che le nostre (M)PMI possono utilizzare per non soccombervi, la Rete non è per tutti né risolve tutto, utilizzarla deve essere una scelta strategica e consapevole che coniuga individualità e collaborazione, non è un “matrimonio” ma semmai un “fidanzamento” e come tale può creare molte premesse per ulteriori evoluzioni integrative.

Presentiamo ora sinteticamente il (reale) percorso della costituzione di una Rete, per capire con un esempio concreto.

Le 13 imprese che hanno realizzato questa Rete, e stiamo parlando della provincia di Varese, operavano nei settori delle lavorazioni meccaniche – costruzioni meccaniche – trattamenti; in parte già si conoscevano ed alcune avevano anche rapporti professionali e/o personali.

Un paio di queste aziende, particolarmente attente al tema dell’innovazione, vennero a conoscenza dei Contratti di Rete e di un finanziamento camerale disponibile per la loro costituzione. Da lì iniziò il loro progetto di collaborazione.

Per quanto il gruppo disponesse di una leadership interna che motivava e trascinava, i limiti di tempo e di conoscenza specifica del “processo” portarono alla scelta di farsi accompagnare, nel percorso di costituzione della Rete e relativo Contratto, da una società di consulenza esterna (grazie anche al finanziamento disponibile). La funzione di consulenza (coaching) era quella di far conoscere e prendere coscienza di tutti quegli aspetti, individuali e collettivi, che servivano a sviluppare il senso e gli strumenti di una collaborazione efficace, e guidare poi il gruppo verso la meta finale.

Si partì dal valutare le varie aziende e la loro “qualità” operativa (screening), così da far emergere tutte le potenzialità di miglioramento individuale e di interazione.

Venne creato uno schema di messa a punto dei “correttivi”, così che le singole aziende potessero meglio operare e sintonizzarsi in un contesto di rete.

Si passò poi ad individuare le varie “Aree di Collaborazione” (marketing, vendite, acquisti, produzione, logistica, etc.) creando diversi “sottogruppi” i quali, particolarmente sensibili alla specifica area, vi si concentrassero sviluppandola gradualmente.

Gli indirizzi operativi dei gruppi toccavano specifici temi, quali: Gestione e sviluppo mercato, Messa a punto di prodotto e offerta, Gestione di produzione e logistica, Interazione operativa ed economica, Identità operativa della rete, Ottimizzazione inter-rete delle capacità, Creazione di un Database comune, etc.

I temi erano molti ed era essenziale programmarli con metodo e scadenze precise, cercando di affrontarli in un contesto propositivo e realistico ad un tempo.

Il gruppo si diede un anno di tempo per arrivare alla definitiva stesura e sottoscrizione del contratto, consolidando nel frattempo la collaborazione ed i primi risultati concreti.

Il lavoro non è stato semplice né facile, si è passati dal doversi (realmente) conoscere al condividere obiettivi (ma anche valori), si è dovuto dare disponibilità ed impegno, darsi delle regole, concordare un piano di lavoro (distribuendo compiti e verificandone i progressi), essere ambiziosi, coerenti… e pazienti.

Creare una rete è quindi un processo semplice e complesso ad un tempo, nasce dalla “vision” di qualcuno e da altri che la condividono. Cresce con la serietà e l’impegno di chi costituisce una società ex-novo, ma non nega l’identità e l’autonomia imprenditoriale di chi vi partecipa. Anzi la può esaltare.

Vediamo assieme alcuni dati riguardanti i Contratti di Rete.

Abbiamo detto che la loro storia conta poco più di 3 anni di vita. Nel 2010 eravamo arrivati a sole poche decine; nel 2011 già se ne contavano quasi 200; nel 2012 ci siamo avvicinati ai 600, coinvolgendo migliaia e migliaia di imprese. Teniamo poi presente che questi dati non comprendono le “reti” operanti ma non (ancora) formalizzate dal contratto.

Pur essendo questi numeri ancora modesti la progressione è certamente notevole.

Quale ulteriore esempio si può citare uno degli ultimi bandi per l’aggregazione in Lombardia (fonte: Confcommercio Como), dove le domande presentate sono state ben 106, anche questo è un segnale che fa ben sperare.

Ma parliamo invece di risultati. I primi studi fatti tra il 2009 e il 2010 (fonte: Prometeia) ci dicono che le reti hanno generalmente realizzato performance migliori rispetto alle singole aziende dello stesso comparto. Ecco i dati a confronto:

Reti Comparto
Fatturato +15%  – 2%
Rotazione magazzini  +15% + 10%
Oneri finanziari/margini  12% 25%

Le reti quindi, pur con qualche contraddizione e vari travagli (vedi la questione sulla soggettività giuridica, e sulla partita IVA), si dimostrano comunque una strategia valida, innovativa e sempre più diffusa.

Sottolineiamo di nuovo che il loro significato non è meramente quello di “estremo rimedio”, ma piuttosto una scelta “a prescindere”, scelta che appartiene più ad una progettualità innovativa che all’emergenza del momento. Si tratta di un cambiamento culturale e di un nuovo atteggiamento economico-sociale.

L’impulso può nascere da quel “mal di pancia” provato dalle imprese (come lo ha definito un imprenditore delle mie parti), quel disagio per una situazione problematica e frustrante, che condiviso con amici/colleghi fa sorgere la domanda: “Che cosa possiamo fare (… assieme)?” Così si può passare da questa condivisione alla ricerca di una soluzione che appunto comprenda ed includa, e questo senza che si debba rinunciare a tutte le proprie prerogative o alla propria autonomia.

Vi segnalo infine che l’argomento Reti è sempre più presente anche nell’agenda dell’Unione Europea, porto a esempio il programma Cosme (2014-2020) che pianifica risorse per 2,5 miliardi di euro e di cui le reti saranno tra i potenziali beneficiari.

A questo punto non ci resta che concludere. Abbiamo cercato di informare (e spero stimolare) i lettori, senza la pretesa di esaurire in così poche righe un argomento tanto impegnativo e ricco di spunti.

Senz’altro alcuni di voi avranno dubbi o domande.

Uno di questi potrebbe essere ad esempio: “E perché mai non dovrei farcela da solo?”. Premettendo che non ho mai sostenuto che la rete sia la soluzione per tutti, le ragioni per temere di non farcela da soli sono tante. Consideriamo innanzitutto che dal 2009 in poi è stato un crescendo di imprese che non ce l’hanno fatta (centinaia di migliaia), e che questo fenomeno è destinato ad aggravarsi e durare ancora nel tempo. Nel nostro Paese, tra i primi per burocrazia – illegalità – evasione, ma tra gli ultimi quanto a competitività (con oneri operativi, finanziari, fiscali altissimi), patria delle piccole piccolissime imprese sottocapitalizzate (anche in risorse umane) e spesso alle prese con difficili passaggi generazionali, resistere è diventato eroico e crescere quasi impossibile. Crescere oggi significa avere risorse finanziarie e umane importanti, nuove competenze, capacità imprenditoriali le più ricche ed ampie possibili, sapersi spostare sempre più lontano (e non solo spostare i propri prodotti).

Queste le principali ragioni che impediranno a molti di “farcela da soli”.

Ma piuttosto mi piacerebbe che gli stessi si ponessero finalmente un’altra domanda: “Perché non cerchiamo di farcela assieme?”, ed a questo dedicassero le loro riflessioni.

“… Non esiste vento favorevole, per il marinaio che non sa verso quale porto andare”. (Seneca)

 
Stefano Benetti

SB Consulting

ASSORETIPMI (Comitato per l’Internazionalizzazioni Reti)

Profilo Linkedin
tel. 335 6557083

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